Green Pass COVID-19… e quello ecologista quando?

Sono mesi che non scrivo, purtroppo la realtà di Tenerife in questo momento non è delle più rosee perchè siamo ormai ad agosto e i turisti non tornano o non quanto prima, anche a causa dell’innalzamento dei contagi da COVID-19 nelle isole Canarie (siamo ad oltre 800 nuovi contagi), di conseguenza moltissime attività non hanno riaperto o stanno facendo i salti mortali per rimanere a galla.

Quindi le mie priorità sono state la ricerca di un lavoro che mi dia un minimo di stabilità, risparmiare il più possibile e soprattutto progettare il mio futuro prossimo che credo sarà lontano da qui.

In questi ultimi tempi si parla in tutta Europa di questo fantomatico Green Pass, in pratica una certificazione che attesta che tu abbia fatto il vaccino o che abbia avuto il covid e che hai ancora gli anticorpi; questa certificazione ti permetterebbe di viaggiare, andare in palestra, andare al cinema, a teatro e nei ristoranti al chiuso ecc ecc.

In linea teorica mi trovo d’accordo con questo provvedimento, per la sicurezza di tutti e per la propria è importante fermare questa pendemia ed evitare che continui a propagarsi con la forza e la distruzione alla quale ci ha abituati in un anno e mezzo.

Ma come sapete sono ecologista, e sarà il nome, o sarà che si parla tanto di vaccinarsi “per il bene di tutti” che il confronto con un’altra emergenza mondiale mi ronza in testa da parecchio, caso mai ci fosse bisogno di chiarirlo, dati i tempi, questa mia riflessione non vuole nè sminuire nè polemizzare su quello che sta succedendo riguardo la pandemia di COVID-19, ma solo ed esclusivamente aprire una parentesi su altri problemi che porteranno a conseguenze ben più terribili.

Sto parlando ovviamente dei pericoli derivati dal cambiamento climatico.

Purtroppo sempre più spesso, assistiamo a fenomeni meteorologici spaventosi, piogge talmente intense da causare allagamenti, o tifoni, o periodi di mancanza totale di precipitazioni in luoghi dove normalmente non si verificava nulla di tutto ciò.

Anche quest’estate poi siamo stati testimoni di quanto le temperature stiano arrivando letteralmente alle stelle, parlo per esempio del caldo record in Canada occidentale, dove le colonnine di mercurio hanno sfiorato i 50° C in posti dove la temperatura media per la stagione si aggira sui 21° C.

Purtroppo l’elenco delle “stranezze” metereologiche collegabili al cambio climatico è molto lungo, ma basti pensare che l’aumento delle emissioni di gas serra nell’aria e il conseguente aumento della temperatura porteranno inevitabilmente allo scioglimento dei ghiacciai, ad un innalzamento del livello del mare, alla desertificazione di molti luoghi del Pianeta e alla scomparsa di tantissime varietà di animali e piante.

Si calcola che l’aumento di un solo grado e mezzo delle temperature medie degli oceani abbia già causato la distruzione della metà delle barriere coralline presenti sulla Terra, con punte anche dell’80% di coralli morti nei Caraibi negli ultimi 30 anni. Si parla infatti di sbiancamento dei coralli quando se ne verifica ormai la morte, le alghe unicellulari responsabili della fotosintesi clorofilliana, e quindi del colore del corallo, morendo non possono essere rimpiazzate, lasciando cosi esposto lo scheletro bianco della struttura. Oltre all’aumento della temperatura, anche la concentrazione di CO2 (anidride carbonica) sempre maggiore nella nostra atmosfera collabora alla morte delle barriere coralline, ( essendo causa di acidificazione delle acque marine ), insieme alla pesca con metodi aggressivi ed illegali come le reti a strascico o le esplosioni e l’inquinamento.

Morendo i coralli anche il resto dell’ecosistema rischia di collassare, causando una massiccia perdita di biodiversità, fino ad avere conseguenze anche per l’uomo, visto che le barriere sono in grado di aiutarci nel combattere l’erosione delle coste e nel bloccare le mareggiate più forti, senza contare quante persone dipendano economicamente dalle barriere coralline di tutto il mondo.

La deprimente vista di una barriera corallina morta

Una conseguenza ovvia e già ampiamente nota agli studiosi non solo dei cambiamenti climatici, che avremo ancora di più nei prossimi decenni, saranno le migrazioni di milioni di persone da luoghi diventati ormai desertici o minacciati dall’innalzamento delle acque verso terre più sicure e fertili.

Pensate che si calcola che entro il 2100 se non invertiamo questa rotta, ben 640 milioni di persone saranno a rischio per l’aumento del livello del mare, mentre addirittura il 25% della popolazione mondiale dovrà vedersela con la desertificazione del proprio territorio.

Non dobbiamo dimenticarci che facciamo parte di un complesso equilibrio, dove qualsiasi cambiamento, anche quelli che ci sembrano molto lontani da noi o molto piccoli, si ripercuote su tutto il resto del sistema.

La cosa più drammatica è che la fine del mondo come lo conosciamo sta già avvenendo, sotto i nostri occhi, tutti i giorni, per mano nostra e una volta raggiunti certi livelli non sarà più possibile tornare indietro e quel punto di non ritorno è stato stabilito nel 2030, praticamente dopodomani.

Quindi considerando solo quanto ci costerà in termini di vite, senza pensare ai danni economici e sociali questa emergenza mondiale, non sarebbe il caso di pensare ad un GREENPASS ECOLOGISTA?

Per il bene tuo e degli altri, non sarebbe ora di assumere comportamenti più sostenibili, più verdi e più etici? E visto che individualmente e spontaneamente si sta facendo ancora troppo poco, non sarebbe il caso che i governi di ogni Paese iniziassero ad imporre non solo sanzioni ma a dare l’esempio ai propri cittadini mettendo in atto diversi e diversificati sistemi per bloccare questo conto alla rovescia? Ormai le promesse, le belle parole e i discorsi sentiti mille volte nei vari congressi sul clima non bastano più, servono misure serie ed efficaci.

Proprio due giorni fa abbiamo raggiunto l’“Earth Overshoot Day” ovvero la data tutt’altro che simbolica che indica l’esaurimento ufficiale delle risorse rinnovabili che il nostro Pianeta è in grado di offrire nell’arco di un anno, in altri termini, dal giorno dopo siamo tutti in debito per alimentazione, energia, ecc, si parla proprio di debito ecologico, ed ogni anno, ad eccezione del 2020 per via della pandemia, questa data che segna la fine delle risorse disponibili, arriva sempre prima, ad indicare che stiamo consumando molto più di quanto abbiamo a disposizione e, stando così le cose, il nostro pianeta non ci basta, ma dovremmo avere 1,7 Terra per arrivare addirittura a 2 nel 2030 se non invertiamo la rotta.

Non vi sembra un’emergenza questa?

Non vi sembra una pandemia mondiale di cui dovremmo preoccuparci?

Contro il covid non eravamo pronti, non potevamo aspettarcelo o almeno non sapevamo come sarebbe stata questa pandemia, mentre contro i cambiamenti climatici possiamo ancora fare qualcosa, anzi molto, prima ce ne renderemo conto e cominceremo ad agire meglio sarà per tutti noi e per il nostro bellissimo Pianeta Terra.

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Vivere in maniera sostenibile

Sono stata assente per qualche settimana perchè ho dovuto preparmi alla partenza e ho avuto bisogno di qualche giorno per tornare ad una parvenza di normalità, dopo 8 mesi in Italia rieccomi in una nuova casa a Tenerife!

Qui le cose sono molto diverse dal Molise, se parliamo di sostenibilità, sicuramente vivere in un’isola è più complicato rispetto ad una città in centro Italia!

A Tenerife come in tutte le isole Canarie, abbiamo un problema enorme con i rifiuti, la raccolta differenziata è poco utilizzata e spesso fatta male, mi sono ritrovata quasi quotidianamente a prendere le bottiglie di plastica buttate da qualcun altro,da un secchio dell’indifferenziata per metterlo in quello della plastica giusto accanto!

Oppure basti come esempio che qui l’acqua dal rubinetto non è potabile quindi solo il quantitativo in rifiuti di bottiglie di plastica giornaliero è immenso!

Come del resto abbiamo bisogno di importare ovviamente tutto quello che non riusciamo a produrre e navi ed aerei inquinano tantissimo.

Per questo tornare a vivere qui implica anche che io debba ripensare a quali azioni quotidiane possa fare per vivere in maniera il più sostenibile possibile.

Innanzitutto io non guido quindi o vado a piedi o uso i mezzi pubblici oppure divido la macchina con gli amici; cerco di fare la spesa al mercato o in negozi locali, soprattutto per quanto riguarda la frutta e la verdura. Evito in qualunque caso di comprare il superfluo.

Sto aiutando i miei coinquilini a fare la raccolta differenziata nel modo migliore possibile perchè per loro non è così chiaro come lo è per me e questo mi fa pensare a quanto sia importante l’educazione e la divulgazione.

Quando si decide di impegnarsi in una scelta di vita ecologista si può essere fortunati come me che ho avuto pillole ecologiste e veri e propri insegnamenti come quello di non sprecare o non buttare i rifiuti nella natura o per strada, fin dalla tenera età, io sono per così dire nata ecologista, perchè lo erano i miei e in generale tutta la mia famiglia.

Oppure ci si può arrivare in qualsiasi momento, a qualsiasi età, riconoscendo i danni che uno stile di vita consumistico e irrispettoso della natura può causare e quindi cominciando ad adottare soluzioni più green nella propria quotidianità.

Non dimentichiamoci mai che “svoltare” ad un tipo di vita più sostenibile non dipende dalla semplice volontà ma è anche spesso una questione di privilegi, che possono essere non solo di tipo economico ma anche culturale e territoriale.

Se per esempio io volessi cominciare a comprare solo pasta sfusa ma per arrivare al primo negozio che vende quel prodotto in quella modialità, dovessi prendere la macchina e fare 50km, probabilmente inquinerei più ad andare a comprare quel prodotto in teoria “più sostenibile”, piuttosto che comprare una confezione tradizionale al supermercato più vicino. Quello di avere vicino un negozio che vende prodotti sfusi è per esempio un provilegio territoriale, il poterli pagare più del prodotto del discount è un privilegio economico per fare un altro esempio.

Quindi, per prima cosa è bene informarsi, su cosa sia la sostenibilità e perchè ce ne sia bisogno, ma anche e soprattutto su come cambiare, quali abitudini abbiamo che possiamo rendere più sostenibili, oppure cercare testimonianze di altre persone che hanno cambiato la loro vita! Di queste alcune saranno drastiche come essere passati ad una dieta vegana o vivere zero waste, altri cambiamenti saranno più alla portata di tutti, come consumare meno carne o evitare gli imballaggi di plastica per esempio, ma sta a noi decidere, senza sentirsi “non abbastanza” ecologisti se non si riesce a fare tutto quello che vorremmo.

Lasciati ispirare, guidare ed aiutare da chi già vive una vita più sostenibile, copia quello che ti si addice di più e cerca soluzioni per te più comode e fattibili, ma un consiglio che mi sento di dare a chi si sta avvicinando o vorrebbe farlo, ad una maniera di vivere più sostenibile, è di non pretendere tutto e subito!

Ovvero, mi rendo conto, perchè lo provo tutti i giorni, che quando diventi consapevole di una questione importante come quella dell’inquinamento o dello spreco, è difficile poi non pensarci ogni volta che farai un acquisto o una qualsiasi scelta, ma, e anche questo lo dico per esperienza, non si può diventare 100% green in un giorno!

Pretendere di esserlo, soprattutto se si parte da 0 o quasi, rischia di rendere il cammino pieno di ansia e frustrazione mentre questa “lotta” deve essere fonte di gioia e liberazione!

Non sempre sarai perfetto/a!

Non fa niente!

Meglio 100 ecologisti imperfetti che 1 perfetto!

Anche per questo vorrei far passare questo messaggio forte e chiaro, non è in corso nessuna gara, non c’è un premio all’ecologista più estremista del mondo!

Confrontarsi con le altre persone che stanno facendo questo percorso o che ecologiste lo sono sempre state, deve essere un momento di crescita, di arricchimento personale e di scambio. Ricordando sempre anche il tema dei privilegi, e che ognuno fa quello che può quando può, non dovremmo giudicare chi fa meno o non lo fa bene, ma aiutarci a vicenda, incoraggiandoci e dando consigli, anzichè buttando giù o arrabbiandosi con gli altri!

Negli ultimi anni si è sviluppata una vera e propria “ansia da cambiamenti climatici” e molte persone a cui sono cari i temi dell’ambiente ne soffrono, quindi mantenere sempre l’animo positivo aiuta sia noi che gli altri aiutandoli magari anche a sconfiggere questa sensazione perenne di preoccupazione e stato di allarme!

Questo cambiamento sarà più profondo per ogni gesto sostenibile che si farà e più siamo meglio sarà!

Prova a fare qualche cambio vedrai come sentirai montare dentro una sensazione di gratitudine e soddisfazione impagabili!

Cercate o chiedetemi come fare per vivere più sostenibile e parliamone insieme!

E adesso datemi ancora qualche giorno per sistemare il laboratorio e tornerò a parlarvi di moda, di libri e di giornate di bagni al sole!

Zero Waste

Come stilista e amante della moda voglio creare abiti ed accessori benfatti, ma anche nella maniera più pulita possibile, ovvero che siano etici ed ecologici. Il mio obiettivo come designer è offrire un prodotto bello sotto tutti i punti di vista, che sia in grado di dare emozioni a chi lo indossa e a me che l’ho creato, e un domani a chi mi aiuterà a produrre i miei capi d’abbigliamento.

Per ottenere questo risultato è necessaria molta fantasia ma anche molto studio, sui tessuti naturali, su quelli sostenibili, sulle tecniche da usare per avere un impatto più basso possibile sull’ambiente, e su come i prodotti creati possano durare più a lungo e dopo possano essere più facilmente riciclabili.

In questo periodo sono in una fase di studio, in cui sto cercando e sperimentando le soluzioni che più mi possono avvicinare a conseguire un buon risultato.

Per ora, oltre al riutilizzo di abiti per nuove creazioni e alla ricerca di materiali sostenibili, sto raccogliendo abiti, tessuti ed accessori dimenticati nelle soffitte e negli armadi delle mie amiche e che generosamente mi danno, felici di sbarazzarsi di cose che non mettono più! Per le mie creazioni poi continuo ad attingere alla collezione di stoffe accumulate negli anni che non ho mai avuto il tempo o l’ispirazione per cucire, e dato che sembra sia inesauribile, forse ho un problema di accumulo quando si tratta di stoffe!

Uno dei modi più sostenibili in assoluto e anche molto divertente che sto sperimentando è il modello produttivo basato sullo Zero Waste.

Zero waste significa letteralmente zero spreco, ovvero usare tutta la stoffa che si ha a disposizione, senza avanzi, dando per esempio una forma piuttosto squadrata al nostro cartamodello in modo da sfruttare tutta la lunghezza e la larghezza della pezza, o progettandone uno che sfrutti bene gli spazi e si incastri con gli altri pezzi, pensate che utilizzando un piazzamento convenzionale del modello su tela, si ha infatti uno spreco del 15/20% (dipende molto dal modello e dal verso, se si lavora in sbieco per esempio lo scarto sarà molto di più).

In questo aiuta molto la tecnologia per esempio con un programma di Cad, si possono creare e piazzare con meno spreco possibile i pezzi che compongono il cartamodello sul tessuto, mischiando anche varie taglie per “incastrare” al meglio i pezzi più piccoli negli spazi vuoti, ma anche così si ha comunque una buona parte di tessuto che inevitabilmente finirà nella spazzatura .

in questo esempio di un piazzamento industriale potete notare in rosso e arancione il cartamodello e in nero la stoffa su cui vanno disposti i pezzi, è evidente che non tutta la stoffa venga occupata dal cartamodello è finirà quindi fra gli scarti

Anche la creazione di modelli 3D aiuta molto i designer perchè permette di fare virtualmente tutte quelle fasi che una volta si dovevano per forza fare fisicamente, dell’assemblaggio alla prova in tela, che ovviamente doveva essere ripetuta fino al risultato voluto. Adesso invece con questi programmi è possibile non sono creare il modello che desideriamo ma anche vederlo indossato da un avatar che ci darà la visione di come cade un tessuto o di come stringa una ripresa o se il capo fa difetto e correggere così il tiro qualora ce ne fosse bisogno senza usare assolutamente nemmeno un pezzetto di stoffa! Sembra magia eh?

Questi programmi sono una vera rivoluzione nel campo della modellistica e lo sono ancora di più quando si parla di moda sostenibile! Ho intenzione di fare prima o poi un corso per imparare ad usarli, ma intanto mi sto cimentando nella creazione di cartamodello senza spreco!

Sono sicura che il modello zero waste per antonomasia lo conoscete già e non sapevate che fosse così: il kimono giapponese.

Donna giapponese con Kimono

Guardando un cartamodello di un Kimono giapponese vi accorgerete del perchè sia un perfetto esempio di zero waste, come vi accennavo è più facile con cartamodelli rattangolari o di forme squadrate perchè spesso gli scarti di tessuto si hanno nelle curve, come gli incavi manica o scollo.

cartamodello di un kimono
Donne giapponesi indossano kimoni tradizionali nelle fantasie più originali

Quello che amo poi dei kimono e anche di altri capi che si ispirano a questo modello è che non c’è differenza fra modello per uomo o per donna, sono come dicono gli inglesi genderless, le uniche differenze si hanno con la scelta del tessuto, ma quella è molto personale e non ha connotazioni se non quelle imposte dalla società. Come sapete una delle cose per me importanti è che si faccia sempre di più questo tipo di moda fluida, dove una persona possa sentirsi libera di indossare e perchè no, scambiare i propri abiti senza pensare se abbiano tagli da donna o meno.

Modelli convenzionalmente maschili di kimono
Stampe moderne su kimono

Abbiamo visto quindi come sia facile fare un modello zero waste semplice, ma ce ne sono anche di molto complicati, e ci sono dei designer che vorrei presentarvi e che vi apriranno veramente un mondo a cui forse non avevate mai pensato!

Prima fra tutte Holly McQuillan che ha la capacità di creare dei pattern complicatissimi ma che si incastrano alla perfezione fra loro in modo da rispettare perfettamente il concetto di Zero Waste senza mancare in nessun modo la parte “fashion” che è oltremodo importante. A vedere i suoi capi non si direbbe mai che siano fatti senza spreco, immaginate quanto studio c’è dietro una collezione così! Oltre ad essere una designer e una studiosa, è anche la coautrice di una bibbia del cartamodello zero waste, di cui sta attualmente scrivendo la seconda versione.

Pattern di Holly McQuillan

L’altro autore insieme a Holly McQuillan di quella che vi ho definito come la bibbia del zero waste pattern è Timo Rissanen, designer e professore di moda sostenibile ha creato una camicia super resistente con un programma 3D e l’ha realizzata con un pattern zero waste, la sua idea è di applicare lo stesso concetto per creare abiti più durevoli e quindi sostenibili.

Un’altra designer eccezionale è Mylène L’Orguilloux di MilanAv-JC creatrice di modelli e attivista della filosofia Zero Waste, sul suo sito potrete trovare anche modelli e altri dati open source da scaricare gratuitamente!

Ho scoperto con grande gioia anche un sito di stoffe ecologiche ed etiche, prodotte da piccoli artigiani in giro per il mondo e scelte con cura dalla fondatrice, sto parlando di Offset Warehouse e nel loro sito trovate oltre ad una varietà infinita di stoffe per ogni uso, anche il pattern di un vestito zero waste che potete comodamente scaricare e stampare a casa vostra per cimentarvi nell’impresa di cucire un abito senza spreco di stoffa!

Charlie Bradley Ross fondatrice e direttrice di Offset Warehouse

Insomma se qualcuno avesse ancora dei dubbi eccovi le prove che fare moda sostenibile si può e si deve e cercare soluzioni più green possibili è la vera sfida che attende i designer e perchè no, chiunque abbia a cuore queste tematiche!

Nel prossimo post vi mostrerò il mio progetto zero waste!

Rimanete connessi e scrivetemi per ogni dubbio o curiosità

Come fare moda sostenibile?

Se siete qui è perchè avete come me un interesse, una curiosità o un’ossessione (ehm…) per la moda sostenibile e l’economia circolare!

Schema illustrativo di economia “tradizionale” o lineare ed economia “circolare”

Cosa significa e perchè fare moda sostenibile l’abbiamo già visto nei post precedenti se avete dubbi o curiosità andate a spulciare qui, ma quali pratiche sono da considerare sostenibili?

In un’ottica di economia circolare, dove gli abiti sono fatti per essere usati ancora e ancora e fino alla loro “morte naturale” ed oltre, le pratiche sostenibili sono diverse e passano dal ridurre il consumo di risorse (come acqua o energia o materie prime), per la produzione di nuovi manufatti, all’evitare totalmente la produzione di nuovi capi d’abbigliamento, usando e vedremo come, capi già esistenti, del resto per citare Orsola de Castro, cofounder di Fashion Revolution:

“Il capo più sostenibile è quello che hai già nell’armadio”

Queste pratiche possono essere il Recycling o riciclaggio, che prevede l’utilizzo di materiale ottenuto da fonti riciclate o rigenerate per ricavare un capo d’abbigliamento, per esempio quelli realizzati con pet riciclato (la plastica delle bottiglie d’acqua per intenderci) o con tessuti rigenerati; un’azienda che usa questo tipo di tessuti, in particolare la lana, è per esempio Rifò che utilizza materiali certificati Global Recycle Standard e che se non conoscete beh, dovete recuperare immediatamente andando sul loro sito perchè sono un’eccellenza italiana e portano avanti un bellissimo progetto, in uno dei distretti industriali più famosi ed importanti d’Italia per la lavorazione della lana (e in cui da sempre si usano vecchi maglioni o scarti di lana per ricrearne di nuovi o per altre lavorazioni).

https://rifo-lab.com/

Restando in tema di orgoglio italiano e riciclaggio voglio segnalarvi anche l’azienda Carvico, anche questa ha una lunghissima lista di certificazioni e fra le altre cose produce un tessuto usato soprattutto nell’ambito sportivo, realizzato riciclando le reti da pesca dismesse e recuperate in mare con l’aiuto della ong Healthy Seas.

https://www.carvico.com/aziende-ecosostenibili/tessuti-riciclati/

Una critica che si muove però alla pratica del recycling, è che pur essendo meno inquinante della produzione “da zero” ha comunque un impatto ambientale rilevante, cosa che invece non ha (o molto molto meno) quella che è chiamata comunemente Upcycling.

Upcycle before Recycle!

Anche se non abbiamo in italiano una traduzione per la parola upcycling il concetto è quello di produrre o comprare abbigliamento o accessori derivanti da materiale di scarto, che possono essere abiti o spesso materiali che non hanno a che fare con il tessile vero e proprio. Il principio alla base è quello di dare un valore uguale o maggiore all’oggetto finito rispetto a quello che aveva l’oggetto di scarto da cui siamo partiti.

Riduci, Riutilizza, Ricicla, Ripara, Ridisegna, Rifletti, Rispetta

A quanto pare finalmente uno dei miei più grandi sogni si sta realizzando, l’upcyling sta andando di moda!

Da alcuni sondaggi sembra che, complici pandemia e quindi lock down prolungati, siano tantissime le persone che si sono avvicinate a questa modalità, magari spulciando nell’armadio, cercando tutorial e siti di cucito creativo, ago in mano e fantasia, si siano messe a dare una nuova vita ai vestiti che avevano già in casa!

In effetti anche il rammendo, magari fatto in una forma creativa e colorata, è un’ottima maniera di fare upcycling, ne trovi alcuni esempi qui, sulla mia pagina pinterest.

Come avete già visto anche io mi occupo di Restyling, che altro non è che dare una nuova vita a capi smessi o di seconda mano, che è ciò che più amo fare e che direi è la forma più sostenibile di fare moda.

Ridisegnare, dare un nuovo stile e reinventare un capo partendo da altri, o prendendo in prestito “pezzi” che non sono del tutto del mondo dell’abbigliamento, è una delle forme di upcycling e direi quella che più mi intriga ed ispira!

In genere si parte dallo studiare l’abito di partenza e considerare cosa ci si potrebbe fare cercando di sprecarne il meno possibile o di avere più o meno un’idea di cosa faremo con gli scarti.

Io per esempio ne faccio delle bellissime spille, che sono sempre diverse, dipendendo dai pezzetti di stoffa che mi rimangono dopo il lavoro.

A dire il vero, io tendo a non farmi un progetto vero e proprio e non so mai bene come sarà il capo finito, quando faccio un restyling e capita spesso, cambio idea un’infinità di volte in corso d’opera, per esempio il vestito che trovate in questo post avevo pensato di trasformarlo in una tutina smanicata, poi mia mamma mi ha dato l’idea di farne invece due pezzi, pantaloncino e camicia, che in effetti è anche una soluzione più versatile. Allora l’ho ascoltata, (la mamma ha sempre ragione!) e se tutto va bene, spero di potervi mostrare molto presto il risultato.

Altre volte invece ho trasformato abiti in borse, anzi è una delle cose che facevo più spesso anni fa, alcune amiche mi portavano i loro jeans o altri capi che non mettevano più e io facevo per loro delle borse, in genere double face, in modo che potessero portarle sia dal lato del jeans che da quello a fantasia! Mi è capitato anche l’anno scorso più o meno in questo periodo: guarda!

alcune delle borse double face fatte con pantaloni e altri indumenti

E come dimenticare e non citare quella volta che una cliente voleva assolutamente che mi inventassi qualcosa per utilizzare in qualche modo un completo tirolese che, come possiamo facilmente immaginare, non usava per com’era ma che voleva assolutamente conservare!

Allora ne abbiamo parlato un po’ e dopo aver scartato qualche altra opzione, abbiamo deciso e le ho creato una borsa modello bauletto! E’ stato uno dei miei primi lavori del genere ma mi ha regalato tanta soddisfazione!


La cliente con la borsa finita e alcuni passaggi del work in progress

Tornando alle pratiche che fanno la moda sostenibile, ce ne sono poi alcune basate anch’esse sul NON PRODURRE, come quella del Reuse ovvero Riusare.

Riusare è per esempio scambiarsi i vestiti fra amici o fra familiari, non so se anche per voi è stato così ma nella mia famiglia soprattutto quando eravamo piccoli, ci si scambiava pacchi e pacchi di abiti che passavano dal cugino più grande a quello più piccolo, spesso senza badare al genere, una tuta è una tuta! Andava avanti così per generazioni!

Addirittura adesso ho una nipotina e alcune cose le sono arrivate da quei famosi pacchi di vestiti che qualcuno ha conservato (mia nonna ovviamente!).

Le mani della donna che amo più al mondo: mia nonna

Devo dire che ciò era possibile anche grazie alla cura con cui venivano trattati i vestiti, sia quando erano indossati, sia quando venivano lavati o riposti (per esempio si usavano repellenti naturali contro gli insetti che attaccano la lana) ed ovviamente venivano riparati quando ne avevano bisogno!

Questa abitudine nei tempi moderni è stata portata avanti anche grazie agli swap market o swap party, come già vi accennavo qui, che non sono altro che appunto mercati di scambio, dove anzichè comprare nuovi abiti ed accessori, potete scambiarli con quelli di altre persone, perchè come spesso dico per scherzare “forse tu sei uscito dalla “fase dark” ma qualcuno ci è appena entrato!” guardando tutti i corsetti, le calze pipistrellate e gli anfibi al ginocchio che ho ancora nell’armadio!

Ho scoperto tra l’altro che anche fra i miei contatti lo scambio di vestiti fra amiche e amici o fra mamme per i loro bimbi è ancora molto in voga!

C’è poi il Resell ovvero la vendita di seconda mano, che si può facilmente effettuare portando i propri abiti, scarpe ed accessori in un negozio specializzato, che generalmente dopo aver valutato e selezionato i capi, paga una piccola somma o dà un buono da spendere sempre da loro.

Un altro trend in crescita, forse anche date le condizioni in cui ci troviamo in questi mesi, è la vendita a distanza utilizzando blog, online market e applicazioni di second selling.

Diverse persone che conosco usano l’app Vinted e mi dicono di trovarsi bene, è molto intuitiva, non ha costi nè commissioni e conta già 37 milioni di iscritti in Europa.

Io non la uso perchè riutilizzo tutti i vestiti che non metto per creare nuove cose, ma probabilmente in uno dei prossimi traslochi toccherà anche a me!

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Un fenomeno che forse in Italia non è molto diffuso ma in USA e in Asia lo è molto e da molto tempo è quello del Renting ovvero affittare un abito o un accessorio anzichè comprarlo, uno dei più famosi gruppi che se ne occupa è l’azienda Le Tote. Ma in realtà sempre a causa della pandemia che stiamo affrontando, molte persone scelgono di affittare gli abiti anche perchè arrivano a casa comodamente, e addirittura disinfettati, cosa che non sempre (mai?) accade con l’acquisto di abiti online.

Si calcola che l’80% del nostro armadio sia inutilizzato, quindi perchè non affittare e dare a qual vestito o borsa o scarpe la possibilità invece di essere usato per il motivo per cui è stato fatto, ovvero essere usato? Immaginate facilmente che il risparmio in termini d’inquinamento ed impatto ambientale sia enorme, sia per la produzione, sia per la manutenzione (gli abiti “in affitto” vengono lavati e sanificati con processi industriali che rispetto alla lavatrice domestica usano molta meno acqua in rapporto alla quantità di abiti lavati) che per il ciclo di vita degli abiti stessi! E se vogliamo anche economico, studi di settore hanno determinato che molte donne che scelgono il renting comprano molto meno abiti, e quando lo fanno generalmente scelgono proprio dal catalogo di quelli in affitto, con prezzi molto più bassi.

Alcuni siti che offrono questo servizio in Italia sono Dress You Can e Drex Code ma immagino che presto ne avremo molti tra cui poter scegliere.

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Devo dire che io però, da stilista so che posso e devo fare la mia parte anche nel momento della creazione e ciò mi porta a pensare a nuovi modi di concepire la mia moda.

Uno di questi è creare senza sprechi, ovvero Zero Waste, ve ne parlerò meglio nel prossimo articolo quindi rimanete con me!

Body positivity

Today I want to introduce you to my ‘mannequins’ , one is hand made, the other one is made of flesh and bones, actually it is me!  

I am showing those pics because yesterday I virtually met some gorgeous girls and we were talking about curvy models and extra large sizes and I started wondering… ”Hey but…we are humans afterall! We are real and we are unique as we are!”  

And clothes are made for real people, not for mannequins! 

I am made of my fat, my stretch marks, my unwanted hair, my cellulitis, my asymmetry etc.  

But this has nothing to do with WHO I AM. 

Am I less smart because of my stretch marks? 

Am I less capable because of my white hair? 

Am I less reliable for the people who love me because of my weight? 

Absolutely not! 

So let’s make peace with our body! 

Let’s be grateful for our legs and backs that support ourselves!  

Let’s be grateful for our arms because they allow us to strongly hug who we love! 

Let’s love ourselves and let’s be happy for all the perfect imperfections that make us who we are! 

And please remember: if you do not find your size it is because the fashion industry is not inclusive and it is completely wrong, it is ITS fault  NOT YOURS! 

That is the reason why I choose to make fashion on demand and on your measures or for all sizes because the clothes have to fit you, you don’t have to fit the clothes ! 

I wish you all the best stay safe and healthy and I hope to see you soon with all our fatty and happy asses.

Femminismo e Moda

Da sempre il femminismo si interessa alla moda, ed è facilmente intuibile che la critica maggiore che gli si obietta è quella di oggettivizzare il corpo delle donne.

Purtroppo negli anni lo stereotipo della modella magrissima come unica bellezza possibile e il canone “90 60 90” ha influenzato tantissime ragazze spingendole all’ossessione per il peso e il raggiungimento di una bellezza idealizzata sotto i colpi del bisturi portandole spesso ad avere disturbi alimentari o disforia.

In un’ottica femminista le regole dell’estetica che ci vorrebbero tutte magre, alte, truccate, pettinate, depilate ed ingioiellate non sono altro che un costrutto maschilista per esercitare un controllo sulle donne.

Queste affermazioni aprono le porte ad un acceso dibattito, se la libertà delle donne non si manifesti anche attraverso la cura di sè e del proprio aspetto fisico,anche se naturalmente siamo molto lontane dall’essere accettate dalla società se preferiamo vestire in tuta o non truccarci e il fatshaming è un problema enorme.

Ma pensando a quanto i cambiamenti della moda e del costume siano andati di pari passo con l’emancipazione femminile probabilmente limitarsi a questa critica è un po’ riduttivo.

Basti pensare all’evoluzione dell’abbigliamento femminile, anche se a noi oggi sembra scontato o quasi, le donne indossano i pantaloni da relativamente poco tempo!

La prima donna ad indossare dei pantaloni pubblicamente pare sia stata Amelia Bloomer nel 1818, anche se era considerato immorale e nemmeno le femministe dell’epoca osavano tanto.

Amelia Bloomer 1818

Ma fu solo verso la fine del 1800 che in America vediamo delle donne indossare i pantaloni sotto le gonne al polpaccio o delle gonne pantalone, pensate che il corsetto era stato abbandonato solo nel 1874 anche grazie alla scrittrice Elizabeth Stuart Phelps Ward.

Ricordo però che addirittura fino al 1993 era vietato per una donna entrare in Senato indossando un pantalone!

In Europa non andava molto meglio, anche qui le donne cominciarono ad indossarli solo a fine ‘800 ma solo per motivi sportivi, come andare in bicicletta o a cavallo. Dobbiamo aspettare le due guerre mondiali per vedere le donne indossare i pantaloni, principalmente perchè stavano sostituendo i mariti nelle miniere di carbone o nelle fabbriche e avevano bisogno di un abbigliamento più comodo che permettesse loro di svolgere quei compiti più agevolmente.

Donne a lavoro in una miniera

Nella vita fuori dal lavoro però le cose erano ben diverse e addirittura fino agli anni ’70 (parliamo di 50 anni fa) in Italia, una donna che indossava un pantalone era guardata male ed era considerata immorale!

Pensate che in quegli anni invece in Inghilterra una certa Mary Quant rivoluzionava il mondo della moda e delle lotte femministe “inventando” la minigonna.

Mary Quant icona della Swinging London

Anche questa volta, come è stato per Coco Chanel qualche decennio prima, è proprio una stilista a liberare il corpo delle donne!

Oppure pensiamo ai movimenti femministi come quello di Dolle Mina che proprio fra qualche giorno, 51 anni fa, bruciarono i loro reggiseni per protestare contro il patriarcato e per la parità di diritti fra uomini e donne davanti alla statua di Wilhelmina Drucker, una delle prime femministe olandesi a cui questo gruppo si ispirava.

Le femministe di Dolle Mina

Insomma è vero che quando si parla di un argomento come femminismo e moda potremmo parlarne per giorni ma ricordiamoci che l’abbigliamento è cultura e dall’era dei tempi l’essere umano si veste e decora i suoi abiti per affermare se stesso e se stessa in questo caso!

Quello però di cui io vorrei parlarvi è della lotta femminista che dovremmo unire a quella ecologista, soprattutto nel campo della moda sostenibile visto che l’industria della moda impiega più di 60 milioni di persone di cui l’80% donne e nella maggior parte dei casi sono pagate meno dei colleghi maschi e sono molto più esposte di loro ad abusi sessuali e violazione dei diritti, anche nei Paesi occidentali.

Lavoratrici del settore tessile

Considerando poi che anche la maggior parte dei clienti che comprano moda sono donne, la relazione diventa evidente.

Neanche a dirlo invece a capo delle principali aziende e case di moda ci sono quasi sempre uomini.

Questo rapporto fra donne (in notevole maggioranza ma ai gradini più bassi della scala) sia come consumatrici che come lavoratrici, e gli uomini (in minoranza ma nei posti più alti invece in tutta la filiera), è proprio il rapporto di potere che il femminismo lotta per sradicare.

Questo squilibrio si ha non solo a livello delle aziende manifatturiere e dei terzisti, ma anche a capo delle società di brokeraggio, in vetta alle retails agency e sappiamo benissimo anche a guida dei Paesi che potrebbero cambiare le leggi (o almeno farle rispettare) in materia di ambiente e lavoro e io sono convinta che se come femministe ci unissimo e lottassimo per i diritti di tutte le donne coinvolte nel settore della moda, a tutti i livelli, otterremmo ancora più risultati.

Unirsi per cambiare le cose non è più una scelta ma sta diventando un bisogno obbligato, una spinta motivazionale a fare di più e a fare meglio e chiunque voglia apportare il suo contributo è la benvenuta!

La sorellanza è un sentimento fortissimo e ci porta a fare grandi cose e veramente lottare insieme per i nostri diritti e perchè vengano rispettati crea quel legame e quella lealtà che quasi non troviamo più nella società capitalista e frenetica di oggi e credo che ritrovarlo possa fre bene ad ognuna di noi.

Mi auguro che questo impegno diventi la normalità e anzi spero vivamente che presto non ne avremo più bisogno!

Un mio quadretto irriverente!

Circular Fashion

Quando pensiamo all’economia e quindi al modo di produrre che attuiamo o subiamo abitualmente, lo schema che ci appare è definito verticale e si può tradurre anche con un acronimo: TMW ovvero

-Take (prendere dalla Natura)

-Make (fare, produrre)

-Waste (sprecare, buttare, riferito all’enormità di rifiuti generati)

Quando parliamo dell’industria della moda in particolare, come già abbiamo visto nei precedenti Post la situazione è drammatica.

Per fortuna si sta facendo già qualcosa sia da parte dei brand che sempre più spesso pensano alla maniera più sostenibile di creare i loro prodotti senza rinunciare alla componente fashionable, sia dal punto di vista dell’educazione, sono molte le iniziative da parte di privati e organizzazioni per smuovere le coscienze dei consumatori e per fare informazione.

Perchè parlo di educazione? Perchè purtroppo alla base di molte scelte sbagliate altro non c’è che ignoranza, proprio nel senso di non sapere, non rendersi conto, di quanto le nostre scelte come cittadini e come consumatori abbiano un impatto devastante sull’ambiente, sulle altre persone e sugli animali con cui condividiamo questa magnifica Terra.

Quello che mi propongo di fare con i miei lavori e gli articoli che scrivo è proprio un po’ di informazione, trasmettere dati e condividere siti, blog, video e qualsiasi cosa mi aiuti a far luce in questo mondo.

Per esempio ho trovato questo video molto interessante, sul canale youtube di Ellen Mac Arthur Foundation che mostra alcuni esempi di come anche l’industria dei jeans, fra le più nocive ed inquinanti al mondo possa in realtà cambiare per essere più sostenibile!

Come designers bisogna riconsiderare i nostri metodi, quanto la produzione inquini e tener conto di come i nostri prodotti influiranno sull’ambiente una volta entrati in commercio.

Vi ho già parlato del Corso in Sustainability Fashion che sto facendo gratuitamente sulla piattaforma di Future Learn e uno dei consigli per capire come produrre in maniera sostenibile in realtà è più che pratico, addirittura è una APP messa a disposizione del gruppo Kering che attraverso l’inserimento di pochi dati riesce a darci un’informazione di tipo economico, letteralmente quanto costa in termini monetari il nostro modo di produrre e come invece potremmo renderlo sostenibile ed economico, per esempio scegliendo fornitori locali e materiali alternativi a minor impatto ambientale rispetto a quelli che usiamo abitualmente.

App My EP&L

Come consumatori siamo responsabili del futuro che ci troveremo a vivere e del mondo che lasceremo ai nostri figli e nipoti e a chi verrà dopo di noi e mai come oggi abbiamo il compito e oserei dire il dovere di optare per scelte green.

Abbiamo un termine da rispettare, il 2030 e molti obiettivi da raggiungere come sottoscritto dalle Nazioni aderenti all’Onu per l’Agenda 2030 e tutti gli individui devono fare la loro parte per pensare di poter raggiungere i 17 obiettivi per uno sviluppo sostenibile che vanno dalla riduzione delle iniquità, alla fine della povertà, al raggiungimento dell’uguaglianza di genere, e ad una produzione e consumo responsabili.

Non possiamo più aspettare è ora di cambiare ADESSO.

Sostenibile perchè non possiamo più stare a guardare!

Come vi scrivevo nell’ultimo post, qualche anno fa mi sono trasferita alle Canarie, dove oltre ad una natura selvaggia e spettacolare purtroppo ho trovato una altrettanto selvaggia cementificazione , megahotel sulla costa, anche in zone protette, campi di banane con le coperture di plastica abbandonate e lasciate alla forza delle intemperie, e via dicendo.

El Medano

Sarà anche per questo che ho sviluppato ancora di più il mio sentimento ecologista e il mio impegno per diffondere questa cultura.

Nell’ultimo post vi chiedevo: “cosa possiamo fare per diventare più sostenibili?”

Senza dubbio ci sono diverse possibilità, scambiare con amici o in uno swap market gli abiti che non mettiamo più, o comprarne di seconda mano, o riparare e ridare un nuovo look ai vestiti che non ci piacciono più, sono tutte scelte sostenibili (e su questo blog troverete tanti progetti per aiutarvi e scambiarci le idee).

Ma se vogliamo comprare abiti nuovi ricordiamoci sempre le parole della guru della moda punk Vivienne Westwood:

“Comprare meno, comprare meglio, far durare ciò che si compra”

Quindi come prima regola, evitiamo quello che viene definito lo shopping compulsivo, che ha effetti negativi sia sul portafoglio che sul nostro umore (in effetti è considerato un vero e proprio disturbo);

evitiamo in modo più assoluto i negozi di fast fashion che per definizione non sono sostenibili, nè etici visto che esasperando la produzione danno vita ad una enormità di inquinamento e rifiuti, sfruttando manodopera anche minorenne, come abbiamo già visto nel precedente post.

Dedichiamoci all’acquisto come un momento per noi, importante per la nostra salute e quella altrui e dell’ambiente.


Per fare un acquisto quindi, prima di tutto chiediamoci se ne abbiamo veramente bisogno, in caso la risposta sia affermativa, prendiamoci del tempo per scegliere dove comprare, se questa azienda sia “pulita” ovvero se tratti con dignità i propri lavoratori lungo tutta la catena della produzione e se sia trasparente sull’origine dei suoi prodotti e non faccia invece Greenwashing (ne parlerò meglio in un altro post).

Queste informazioni dovrebbero essere presenti nella biografia dell’azienda, facilmente consultabili sui loro siti e in caso non ci fossero si può sempre chiedere loro ulteriori informazioni, come fa per esempio la campagna Clean Clothes Campaign per una maggior trasparenza da parte delle aziende

Ci sono anche dei siti e delle organizzazioni che l’hanno fatto per noi come Ethical Fashion Guide o Il vestito verde oppure Fashion Revolution che ha stilato un rapporto sulla trasparenza delle aziende di moda che potete consultare Qui.
Attenzione però essere trasparenti non significa per forza essere eticamente o ecologicamente buoni!

Nella sezione italiana del sito di Fashion Revolution potete trovare anche una mappa dei negozi e i criteri con cui sono stati selezionati

Cercate sempre di preferire realtà locali e il più vicine possibili a voi, per evitare l’impatto ambientale dello spostamento delle merci e anche vostro se decidete di andare personalmente a comprare l’articolo di cui avete bisogno, unendo magari altre attività in modo da ottimizzare spostamenti e tempo.
Preferite magari piccole aziende, artigianali, o a condizione familiare, aziende consolidate o realtà emergenti ma che usino materiali riciclati e/o riciclabili e siano attenti a tutti gli aspetti di cui vi parlavo.

Una volta poi effettuato l’acquisto fate attenzione al mantenimento!

Lavate a temperature basse e solo a pieno carico se in lavatrice, preferite un’asciugatura naturale, se alla luce del sole ricordatevi di stendere il capo al contrario per evitare che i colori sbiadiscano, fate attenzione alle etichette per la giusta temperatura a cui i capi andrebbero stirati (ma potete anche evitare di farlo!).

Insomma in una sola frase, abbiate cura dei capi che scegliete di indossare così farete in modo che durino di più!

Tutto questo sembra troppo difficile? In realtà è solo un po’ impegnativo all’inizio ma quando avrete scelto i brand o le aziende di cui fidarvi non sarà necessario rifare tutto ogni volta ma soprattutto dobbiamo veramente capire che ogni nostra azione, quindi anche ogni nostro acquisto, ha un impatto.

Quello di cui il nostro Pianeta ha bisogno è che ci impegniamo tutti e tutte per un’economia più sostenibile e giusta per gli esseri umani, gli animali e l’ambiente e questo impegno altro non è che la conseguenza della consapevolezza che non possiamo continuare a vivere sfruttando le risorse oltre il loro limite perchè abbiamo ancora pochi anni per evitare le conseguenze devastanti dell’inquinamento, dell’effetto serra, della scomparsa di molte specie animali e vegetali, della schiavitù moderna che anche noi contribuiamo a creare.

Non possiamo più aspettare è ora di cambiare ADESSO!

Moda Sostenibile, perchè?

Qualche anno fa, dopo l’ennesimo lavoro fregatura conclusosi, mi sono decisa a seguire il sogno che avevo nel famoso cassetto da almeno 15 anni, vivere alle Canarie!

Los Gigantes

Avevo trovato un bel progetto di collaborazione, qualche ora di lavoro in cambio di vitto e alloggio per la piccolissima azienda di una signora che diceva di fare moda ecologica.

Quando orgogliosa e commossa mostravo il mio impegno per una moda etica


Purtroppo fin dal primo giorno mi sono accorta che i materiali si, erano biologici e certificati, ma erano tutti presi all’estero, da Germania, Turchia, alcuni arrivavano addirittura dal Giappone (immaginate l’inquinamento prodotto solo per il trasporto?) e ne aveva comprato quantità pazzesche, da grandissima azienda!

La produzione poi era peggio che in un’azienda di fast fashion, prima ancora di aprire avevamo centinaia di magliette per almeno 5 modelli diversi e in 8 taglie diverse e la mia superiore voleva che ogni settimana uscissero capi nuovi, e quei capi è vero che erano di materiale “buono” e colorati con tinture ecologiche ma per fissare il colore bisognava fargli fare almeno 4 lavaggi a temperature abbastanza alte ed essendo colorati a mano e quasi tutti in colori diversi bisognava fare quasi una lavatrice per ogni capo (immaginate lo spreco di acqua e di energia?)

Per chiudere “in bellezza”, se ci serviva una cosa la capa nel dubbio ne comprava 5, andando contro qualsiasi logica sostenibile, praticamente quell’azienda trasudava spreco dalle pareti!

Per fortuna almeno dal punto di vista salariale e del rispetto dei lavoratori rispettava gli standard che un’azienda che fa Fair Fashion dovrebbe avere!


Quello che voglio dire è che molto spesso quando si parla di ecologia o sostenibilità, soprattutto in ambito fashion, non sempre tutto è oro quel che luccica! Anzi…


Se avete intenzione di portare avanti un’attività “sostenibile” o di orientare le vostre scelte come consumatrici e consumatori in maniera green quello che dovete aver presente è una cosa sola: consapevolezza!

Sembra un termine demodè o a volte abusato, ma in realtà credo che dovrebbe guidare tutte le nostre scelte di vita! Ed essere consapevoli significa prima di tutto essere informati.

Per esempio, sapete che l’industria della moda è senza dubbio fra le prime più inquinanti del pianeta?

Se consideriamo la catena produttiva dell’abbigliamento capiamo bene che ha un impatto devastante sull’ambiente, pensiamo alle materie prime, sia di origine naturale che artificiale: la produzione di cotone da sola è responsabile dell’uso di 1/4 degli insetticidi e del 10% dei pesticidi al mondo e la manodopera utilizzata spesso si trova sotto la soglia del reddito minimo, senza diritti ed esposta a rischi enormi, sia dovuti all’uso di macchinari obsoleti e pericolosi, sia alle condizioni di sicurezza inadeguate o inesistenti, sia causati dall’esposizione a prodotti chimici tossici. Per molte persone la situazione lavorativa è addirittura in condizione di costrizione e schiavitù come si è scoperto nel caso del cotone proveniente dalla Cina (se ne parla in questo Articolo) che rappresenta il 20% della produzione mondiale di cotone.

Si calcola che 1/5 dell’inquinamento dell’acqua a livello mondiale sia causato dai processi tessili, compresi anche fiumi che irrigano campi coltivati per la produzione di cibo destinata sia all’uomo che agli animali, vi consiglio di vedere a riguardo il docufilm River Blue presentato qualche anno fa al Fashion Film Festival di Milano.

Immaginate che per produrre una singola t-shirt siano necessari 20.000 litri d’acqua e si pensa inoltre che l’industria della moda sia responsabile dell’uso di oltre 79 trilioni (miliardi di miliardi) di litri d’acqua l’anno! Un numero che si fa fatica a scrivere figuriamoci ad immaginare!

Senza contare l’inquinamento prodotto dalla distribuzione e dalla logistica, anche in questo caso l’industria della fast fashion in particolare, è un’attrice protagonista, contribuisce al disboscamento e all’uso di enormi aree solo per lo stockaggio dei materiali, distruggendo l’habitat e le specie viventi presenti portando alcune specie sull’orlo dell’estinzione;

L’inquinamento prodotto dallo spostamento fisico di merce dai Paesi produttori del cosiddetto terzo mondo ai Paesi consumatori è devastante per le enormi emissioni di CO2 dei mezzi di trasporto che riguardano anche le vendite, soprattutto quelle online con priorità o con reso gratuito che spingono le persone a comprare con ancora più superficialità e a prezzi ancora più bassi (abbiamo capito chi ne paga veramente il prezzo) facendo oltretutto concorrenza sleale alle piccole imprese che non possono permettersi gli stessi servizi poichè contrariamente a questi grandi colossi, hanno molte tasse da pagare (o almeno dovrebbero farlo!).

Infine, uno degli aspetti più allarmanti della produzione indutriale del tessile è l’immensità dei capi che diventano spazzatura! Annualmente si producono 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili! Solo il 30% degli abiti dismessi ha una seconda vita, ovvero viene riciclato o rivenduto, mentre 3 capi su 5 della fast fashion finiscono nelle discariche generando ulteriore dispersione di sostanze chimiche nel terreno. Questo significa che una parte enorme dei capi prodotti rimanendo invenduti vengono distrutti generando inquinamento per via aerea, o diventano rifiuti senza essere mai nemmeno serviti allo scopo per cui sono stati prodotti! Una parte di questo abbigliamento dismesso viene rivenduto poi nei Paesi cosiddetti in via di sviluppo, incidendo ancora una volta sulla loro economia in maniera negativa soppiantando i prodotti locali con questi più economici, contribuendo così anche alla perdita di queste produzioni autoctone.

Tutti questi dati ed informazioni già dovrebbero aver smosso qualcosa nelle vostre coscienze, quindi vi invito a non fermarvi qui e a cercare ulteriori spunti per accrescere la vostra consapevolezza del problema ma intanto cosa possiamo fare per diventare più sostenibili?

La risposta apparentemente è semplice ma ve ne parlo nel prossimo post così vi lascio il tempo di metabolizzare queste “belle notizie” e fare un bel respiro prima della parte più importante del discorso ovvero cosa possiamo fare per diventare protagonisti del cambio verde di cui il Pianeta e quindi tutti gli esseri umani hanno veramente bisogno.

Non si finisce mai di imparare!

Ormai credo di averlo detto fino a farlo diventare un mantra ma … non si finisce mai di imparare!

Durante la prima quarantena, che io ho passato a Tenerife in un bilocale con tre finestre che davano su un muro, quindi con pochissima luce naturale, ho rischiato seriamente di impazzire, ma per fortuna ho cercato qualunque cosa di interessante ci fosse in circolazione per alleviare la noia e le ore passate insonne.

Mi sono ritrovata a fare molte cose diverse, dal rivedere Twin Peaks, al disegnare, al cucire con tecniche di ricamo mai provate, come in questo pantaloncino qui e ovviamente a fare corsi di vario genere.

Per esempio sulla pagina di futurelearn ho trovato un corso che faceva al caso mio, Fashion and Sustainability un corso gratuito del London College of Fashion, che è stato rivelatore, fatto benissimo e veramente da fare e rifare anche più volte perchè credo che veramente insegni moltissimo sul tema.

In quello stesso sito potete trovare molti altri corsi gratuiti e c’è un’intera sezione sulla moda: Free Courses

Ci sono anche corsi gratuiti e altro materiale di studio ed approfondimento sul tema della moda sostenibile sul sito di Fashion Revolution, cliccando Qui anche se sarebbe molto apprezzato che chi può, doni qualcosa per riuscire a mantenere queste risorse libere ed accessibili per chiunque ne abbia bisogno.

In questi giorni invece sto seguendo i podcast e il sito di un’imprenditrice (spagnola) che affronta i temi del marketing online, oltre ad approfondire temi come la fiducia in sé stessi e lo sviluppo del proprio progetto, non solo di lavoro ma anche di vita!

E’ una donna incredibilmente solare e credo valga proprio la pena seguirla, io infatti, sempre in prospettiva di tornare alla carica con i progetti che ho dovuto mettere in pausa da marzo scorso, mi sto preparando e lei mi sta dando davvero delle armi utili per ri-cominciare a combattere con determinazione e col sorriso!

Si chiama Asun e il suo sito è www.projectmartina.com dove potrete trovare anche tutti gli altri collegamenti ai social

Se capite o masticate lo spagnolo ve la straconsiglio, che poi questi momenti di pausa sono utili anche per imparare o ripassare una lingua no?

Quello che mi piace di più di lei e del suo progetto è che vuole veramente aiutare le imprenditrici a dare il meglio di sé nel lavoro per poter essere libere di vivere invece una vita piena, senza stress e gestendo al meglio sia le ore lavorative che quelle in famiglia o con gli amici o con sé stesse, perchè come dico sempre io,

“Si lavora per vivere ma non si vive per lavorare!”

Altro giro altra corsa… se avete voglia di mettervi in gioco sono aperte le iscrizioni al concorso internazionale di moda sostenibile THE REDRESS DESIGN AWARD 2021 con scadenza il 15 marzo

e al corso gratuito che vuole porsi come strumento per capire ed affrontare le sfide della moda sostenibile e circolare : THE REDRESS DESIGN AWARD 2021 PATHWAY COURSE

e comincerà invece il 15 gennaio dove una gran varietà di professionisti del settore, provenienti da tutto il mondo, e da vari ambiti, affronteranno il tema della sostenibilità ambientale applicata al mondo dell’industria della moda, spiegheranno quali tecniche e modalità usano quotidianamente e forniranno ulteriori informazioni sugli sviluppi che la moda “buona” sta già vedendo.

Insomma volere è potere e se volete con tutti questi spunti potete tenervi impegnati tranquillamente per tanto tempo, nelle fredde sere d’inverno o per via del forzato lockdown, sperando sempre di tornare presto a rivederci dal vivo e a fare corsi di persona, questi possono essere strumenti utili per acquisire nuove conoscenze e quindi aumentare la nostra competenza e competitività rispetto agli altri.

Eppoi diciamocelo, ma quanto è bello imparare cose nuove?